立ち別れ
いなばの山の
峰に生ふる
まつとしきかば
今かへりこむ
Tachi wakare
Inaba no yama no
Mine ni oru
Matsu to shi kikaba
Ima kaeri kon
Chūnagon Yukihira
(818-893)
Parto, lasciandoti, verso il lontano Inaba | Sul monte Inaba | Me ne vado |
ove sulla vetta del monte cresce un pino; | fedele cresce il pino | ma non appena udrò i pini |
ma se udrò che mi aspetti | in lontananza | che crescono sulle vette |
costante come il sempreverde, | sento la tua attesa | delle montagne di Inaba |
tornerò senza indugi. | e io verrei da te subito. | da te subito tornerò. |
Trad. di Sagiyama Ikuko. | Trad. di Nicoletta Spadavecchia. | Trad. di Andrea Maurizi. |
Fonte per il testo giapponese:
Japanese Text Initiative della University of Virginia Library.
Le traduzioni sono tratte da:
Sagiyama Ikuko (a cura di), Kokin Waka shū. Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne, Milano, Ariele, 2000.
Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.
Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.
☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.
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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°16 è di Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento poetico del consigliere di mezzo (chūnagon) Ariwara no Yukihira, fratello più anziano del celebre Ariwara no Narihira.
E in questa immagine, ecco cosa vedo.
La scena che osserviamo è chiaramente suddivisa in due parti. Il primo piano è occupato da alcuni personaggi, i cui sguardi sembrano convergere tutti verso un unico punto: l’imponente montagna, dalle pendici scoscese e boscose e dalla sommità ricoperta di pini, che occupa quasi interamente il secondo piano dell’immagine. Si tratta della montagna di Inaba, situata a nord della capitale imperiale, sul Mar del Giappone, una regione di cui Yukihira divenne governatore nell’855. Ritroviamo dunque il riferimento ad un momento importante nella vita del poeta, quello della partenza per la lontana provincia assegnatagli. Occorre tener presente, però, che inaba, oltre a essere un toponimo ha anche il significato di “se parto” e funziona nel testo poetico in questione secondo il procedimento retorico della parola-perno (kakekotoba) collegando così i tre versi del primo emistichio ai due versi che seguono e che sono introdotti da un’altra parola-perno: matsu che sta per “pino” ma anche per “aspettare”.
Tornando all’immagine, le due parti della scena sono collegate dal tronco di un enorme pino il cui ramo frondoso occupa diagonalmente la parte superiore della stampa mentre un verde ciuffo copre l’angolo inferiore a destra per chi guarda.
Un altro elemento di collegamento fra i due piani della scena si trova su un verde poggio accanto ad un sentiero e consiste nella figura di un contadino che, terminato il lavoro (siamo forse verso il tramonto), chiusi i covoni d’erbe e assicurato il falcetto, si è finalmente seduto per riposare e ha acceso la classica kiseru dal lunghissimo cannello e dal minuscolo fornelletto. Ai piedi indossa i waraji di paglia e le gambe sono protette da gambali e il kimono a piccoli motivi blu e bianchi, per via della fatica e del caldo, è sceso sotto la cintura, lasciando il petto coperto solo da un tenugui adagiato mollemente su una spalla.
Davanti al personaggio che sta riposando, è un sentiero su cui sta camminando un contadino che indossa la tradizionale veste tinta di blu secondo la tecnica kasuri. L’uomo reca in spalla un rastrello da cui pende una cesta, forse vuota: il braccio levato in alto, il mento sollevato, sembra salutare il contadino seduto. Giunge forse ora appositamente per occuparsi del carico dei covoni? O stava passando di lì per caso e ha riconosciuto un amico? Sembra più giovane e agile, e il movimento concertato di braccia e gambe dona all’intera scena un certo dinamismo.
In primo piano, su un terreno reso con una campitura color marrone scuro, la figura del poeta si erge monumentale, resa ancor più massiccia dalla macchia color senape della raffinata veste di corte e dai pantaloni a sbuffo secondo la foggia antica di periodo Nara. Il poeta volge le spalle allo spettatore, tutto intento com’è a osservare il monte lontano. Accanto a lui un giovane attendente, a piedi nudi ma rivestito di un’elegante sopravveste color terra di Siena, reca la sua spada tenendola ben stretta fra le braccia e la spalla. Il suo sguardo, timido o forse smarrito, non è rivolto però verso la montagna. Sembra invece spostarsi verso di noi che guardiamo, come a farci partecipi della scena o a comunicarci il timore per un futuro incerto.