Feria d’agosto, ferragosto… o forse era Obon? La festa di mezza estate mi porta ricordi diversi, contrapposti.
La lunga teorie di saracinesche abbassate, in strade deserte abbagliate dal sole in quei lunghi, interminabili pomeriggi: Milano era così, a Ferragosto. E lo è ancora, perché a volte non basta un’expo a cambiare il destino di certe vie, là dove i turisti possono spuntare solo per caso, perché hanno perso la strada, inseguendo il miraggio di un bar che troveranno chiuso.
Già, è ancora così il ferragosto, in certi angoli di città dove pigramente passano le ore, e l’asfalto sembra sciogliersi come il gelato alla frutta che gocciola dal cono e ti impiastriccia le dita.
Poi sopraggiungono i ricordi di Obon. La lunga fila di persone – e noi con loro – che procede lentamente, nella notte di Nara, verso la grande porta, e, oltrepassata finalmente, fra il chiacchiericcio e lo sventolio dei nostri grandi ventagli, entra nel grande tempio. In fila, in attesa, leviamo lo sguardo verso la finestra lassù e scorgiamo gli occhi del Daibutsu. Ci attende, nella calda notte di Nara.
Altrove lanterne punteggiano il parco, verso Kasuga Taisha. Ma prima di acquistarne una e camminare poi con cautela per evitare che si spenga, ci si fermerà forse a guardare il virtuoso del takoyaki che raduna attorno a sé una piccola folla. O non sarà invece la tentazione di un fresco kakigori, e la scelta di uno sciroppo dal gusto nuovo e insolito per noi da far versare sul ghiaccio tritato, a bloccarci d’improvviso nel bel mezzo del parco?
Ricordo poi le tante volte che ci eravamo fermati al laghetto Sarusawa o ci eravamo spinti più in là, verso la collina, per mescolarci ai gruppi in attesa che si accendesse lo spettacolo del Daimonji, il falò di fascine sulla costa della montagna per salutare le anime degli antenati che ritornano nell’aldilà.
Ricordi si sovrappongono ai ricordi. E’ sempre agosto, ma ovunque è diverso. Ci sono state le danze a Aizu Wakamatsu, nel pieno pomeriggio, nell’entusiasmo di gruppi familiari, di intere scolaresche, dei tanti turisti localo. C’eravamo ritrovati senza saperlo nel cuore della festa.
Le parate danzanti di Kumamoto, in una notte quasi tropicale, in mezzo a gruppi quasi in maschera: gonnellini hawaiani, improbabili baiadere, bibite fredde e caramelle distribuite da personaggi travestiti da giganteschi peluche, ma con il ventaglio… Il matsuri del “paese del fuoco” (Hi no kuni matsuri) vicino al cuore vivo del grande vulcano, Asodake.
L’inarrivabile eleganza delle danzatrici dell’Awa odori a Tokushima, chi potrebbe dimenticarla? La leggerezza dei passi in un raro equilibrio su geta che sembrano non toccare il suolo, il mistero dei volti sotto gli appuntiti cappelli di paglia, le mani levate e mosse verso il cielo, verso le lanterne e le palme che ritmano il percorso sull’ampio viale di Tokushima. La danza sembra non avere fine, l’energia dei danzatori e dei musicisti, a cui si unisce quella della folla che li accompagna, sembra che attraversi la notte, instancabile.
Obon, la festa dei morti in Giappone, uno strano ferragosto in cui le comunità rinsaldano legami, si ritorna al paese natale, si celebra la gioia di ritrovarsi, di stare insieme. Il ricordo delle mie estati in Giappone è il ricordo dei matsuri, ognuno diverso, ognuno, per me, indimenticabile.
Nelle estati milanesi, nelle strade deserte, quel ricordo riempie il silenzio. Con la voce di innumerevoli cicale.