Fare con quel che si ha. L’arte del kufū.

A Kyōto. Una casa, il tempo di una vacanza. Agosto 2009.

In lingua giapponese il termine kufū 工夫 veicola il concetto di invenzione, idea, trovata, mezzo, espediente, stratagemma. Analogamente, kufū suru 工夫する è ideare, inventare, escogitare, ingegnarsi a…, escogitare il modo di…, aguzzare l’ingegno per…*

La sostenibile arte del kufu è allora l’arte di fare con quello che si ha, abbracciando una filosofia di minimo impatto, di rifiuto dello shopping compulsivo o imposto, di adesione a uno stile di vita che eviti gli sprechi, il superfluo, l’accumulo di oggetti che ci possiedono e ci tolgono la prospettiva di ciò che è veramente importante.

C’è una bella pagina di Dominique Loreau che racconta questa arte con semplicità e immediatezza.

 

” Avere ciò che si vuole è segno di ricchezza,

ma essere capaci di farne a meno, è forza.”

George MacDonald

Il kufu è un altro concetto zen spesso impiegato nella quotidianità. È l’arte di fare con i mezzi a disposizione in tutte le situazioni. È comporre un pasto con i resti del frigorifero, piegare i propri abiti in un foulard annodato alle quattro estremità quando non si ha un luogo dove riporli o una borsa per trasportarli, mettere due maglioni l’uno sull’altro invece che correre in negozio per acquistarne uno più caldo quando le temperature iniziano ad abbassarsi.

Il kufu è utilizzare la propria immaginazione per arrivare allo scopo senza aver bisogno di procurarsi qualche cosa in più, e apprezzare ciò che si ha utilizzandolo al meglio, ed evitando così lo spreco.

Più che gli oggetti stessi, è la grazia e l’eleganza con cui si vive, in Giappone, ad essere un’arte.  Come vivere con poco e di poco si impara: prendere le cose nello stato in cui sono e tirarne il miglior partito; fare di un luogo piccolo e ingrato, di un appartamento spartano, un alloggio confortevole e caloroso.

Lo zen spinge persino a ridurre i tre “bisogni vitali” che sono l’abbigliamento, il cibo e il sonno. Questa autodisciplina, insegna lo zen, permette di affrontare qualunque tipo di situazione non dispiegando esattamente e strettamente che il giusto sforzo (non troppo e neppure troppo poco) e di imparare a controllarsi allo scopo di far fronte a qualunque pericolo, che sia esterno o dentro di noi (passione, gelosia, stanchezza di vivere…).

Lo zen insiste sul fatto che ogni scopo può essere raggiunto con i mezzi che si hanno, a condizione di mantenere il proprio spirito sveglio.

(Da: Dominique Loreau, L’art de l’essentiel, Paris, Éditions J’ai lu, 2009, pp.222-223.)

 

Così, un semplice quadrato di stoffa, riempito di sassolini o di sabbia – i quattro lembi annodati – e poi chiuso da un cordoncino colorato, può diventare un elegante fermaporta, oltre che essere, com’è tradizione, segnale di divieto che annuncia uno spazio in cui non si può penetrare. E dei rotoli di paglia di riso possono trasformarsi in rustici sedili in un’antica casa tutta legno e carta di Kyōto, nostro privilegiato luogo di residenza di un’estate che non dimenticherò.

 

*Cfr. Dizionario Shogakukan Giapponese-Italiano, 1994.

Nakajima no ochaya. In attesa del té. Giardino di Hamarikyū, Tōkyō, aprile 2013.

 

 

 

 

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