Cosa resterà dell’inverno che fugge…

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Che cosa resterà di questo inverno che non vorrei andasse via? La mia voglia di notte, i pomeriggi brevi, più corti di un respiro, il brivido freddo che percorre la nuca, insinuandosi sotto il cappotto, i campi gelati , immobili sotto il mio sguardo che si riflette sul finestrino del treno.

Resterà una corsa sotto la pioggia battente verso la metropolitana, la rabbia di ogni mattina che il sole di marzo non basterà a calmare, una figura amata e incurante, avvolta in una sciarpa azzurra a un passaggio a livello. I suoni di una batteria, martellanti nell’orecchio, sul metrò. Il mio desiderio di novità e di rivolta.

Poi resteranno i volti amici che sfilano nel ricordo di un sabato pomeriggio, la stretta consolatoria di un’amica in un cortile antico, l’asciugare di lacrime contro un petto, il tocco casuale di una mano, il regalo inatteso di una chiacchierata passeggiando attraverso la città, nel tramonto incombente. E le discussioni appassionate davanti alla immagine di una dama di corte del periodo Heian,  il suono del pianoforte sullo sfondo o quello dell’arpa, la domenica pomeriggio. L’abbraccio di qualche nuovo amico, le parole dette e quelle trattenute a fior di labbra. La nostalgia tenace e potente del Giappone, che sale dal calore di una tazza di misoshiru.

Resteranno i progetti e i volti di chi ascolta attentamente in un teatro, o in un museo, un incontro inaspettato, la gioia di molti attimi unici e irripetibili, ichigo ichie. I desideri frustrati, le vie di fuga impossibili, i waka di Akiko.

La voglia che tutto si ripeta. Ma più forte. Se marzo verrà. E marzo verrà. Domani.

Resteranno i miei amori, nuovi e vecchi,  i “ragazzi per sempre” che mi circondano protettivi: Orten, Takuboku, Dagerman.  Resterà il ricordo di una perdita che non provoca più dolore, la consapevolezza che sotto la crosta ghiacciata pulsa la vita, e forse brucia. “I know what I like” e la sicurezza di ciò che voglio tenacemente e ciò che non voglio altrettanto decisamente. Resteranno le nostre parole.

Resterà un sorriso.

Agli amici dell’inverno.

28 febbraio-1° marzo

3 commenti

  1. Resta ancora tutto da vivere e da inventare. Perchè, al di fuori dei fragili limiti della nostra pelle, la mente procede spoglia e libera. Senza limiti. Tutto è ancora da esplorare e l’energia inesauribile della curiosità e del desiderio continuerà ad animarci. Saremo vivi. A dispetto delle spoglie che giacciono inerti ai nostri piedi. E di cui ci liberiamo con un calcio infastidito. Marzo è arrivato e, con esso, nuovi sorrisi. Rox

  2. Grazie per i brividi che mi hanno avvolta leggendo le tue parole, grazie per essere la splendida creatura che sei, grazie a noi, che ci siamo reciprocamente “chiamate” nelle nostre esistenze….
    Grazie Rossella, che come un fiore d’oriente, sei venuta a sbocciare nel cortile di casa mia…

    Silvia

  3. La parola che resta è davvero una stretta di mano. E’ tutto quello che di una frase rimane tra il detto e il desiderio, tra le labbra e la volontà di fuggire, tra lo schiaffo del giorno e una carezza improvvisa del buio. Restano le cose, restano a farsi dire a farsi raccontare e anche marzo ha la sua storia, la sua fiaba detta ad occhi chiusi, per chi ancora non la conosce.
    Restano davvero le parole vicino alle fermate, ai lampioni, ai tombini e in questo scorrere d’acque invisibili ci diciamo mari, fiumi, rapide improvvise. Ma se sappiamo della luce o dello scuro è da lì che si parte, che si procede verso il desiderio che ha altre parole ancora, altri segni di grazia e di buio.
    Stefano

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