Mukashi mukashi. Contro l’epidemia, leggiamo! Oggi scelgo l’esempio del ragno…

Braciere e soroban (abaco) nella casa del mercante. Kurashiki, novembre 2019.

 

In Hakata, nella provincia di Chikuzen, viveva un tale di nome Kanaya, un sostenitore delle avventure oltremare di Nagasaki.  Quand’era in mare aperto, il fato si accaniva contro di lui, tanto che, in un anno, tre grandi tempeste portarono al disastro le spedizioni su cui aveva impegnato tutti i suoi risparmi: rimase con la sola casa, i magazzini vuoti e il malinconico suono del vento gemente attraverso i pini del giardino. I servi si dimisero e a moglie e figli capitò l’infelice destino di non sapere come arrivare al giorno dopo.

Kanaya, trovandosi improvvisamente in queste acque difficili senza terra in vista, tremava al semplice suono di un’onda, e giurò davanti al dio dei naviganti che non avrebbe mai permesso a un suo discendente di caricare qualcosa a bordo di una nave.

Una sera, si godeva la fresca brezza seduto sulla veranda e osservava le nubi che torreggiavano sopra di lui da ogni parte: pareva che ad ogni momento un drago potesse librarsi e causare un temporale estivo. I beni umani, pensò, non erano più duraturi di quel cielo minaccioso.

Ora che la sua casa era caduta in povertà anche il giardino era scomparso sotto uno spesso strato di foglie morte e la sua casa s’era tramutata, senza che se ne  fosse accorto, in una rovina coperta di erbacce: migliaia di insetti trattavano le sue stanze come terre abbandonate, dove cantare in un coro di desolazione. Da un largo bambù che si sporgeva sul muro del giardino un ragno stava tessendo un unico filo sui ramoscelli di una criptomeria ed egli lo notò: quando il ragno fu a mezza strada, un’improvvisa raffica di vento ruppe il filo, facendo cadere l’animale, il quale ricominciò a tessere… e ancora una volta si ruppe il filo. Per ben tre volte ebbe insuccesso ma, alla fine, al quarto tentativo, riuscì a passare, a tessere la sua casa e a procurarsi il cibo.

“Se un simile insetto può essere così paziente” pensò Kanaya dopo aver scrutato l’ostinazione del ragno, “e può resistere tenacemente sino a costruirsi il nido, non ha certo scuse l’uomo che si fa prendere da una frettolosa disperazione! Non è ancora tutto perduto!”

L’esempio del ragno gli infuse nuovo coraggio: venduta la casa, fece una piccola provvista di mercanzie, scegliendole con occhio alla fluttuazione dei prezzi. Non avendo più impiegati che badassero ai suoi affari come in passato, dovette portare il carico da sé sino a Nagasaki. Mescolatosi alla folla nel mercato delle importazioni, intanto che passava davanti ai tesori di altra gente, notò tessuti cinesi, erbe medicinali, pelle di squalo e utensili di ogni genere per il tè. Non avendo denaro per acquisti di lusso, fu costretto a lasciare tutte queste splendide opportunità a compratori di Kyōto e di Sakai sui quali avrebbe avuto la meglio per esperienza e astuzia ma non per denaro: portava con sé soltanto cinquanta ryō.

Senza preoccuparsi di unirsi ai mercanti o di prendere in considerazione qualche altro piano per far fruttare il misero capitale, si diede per vinto e si recò nel quartiere dei lupanari di Maruyama: c’era una cortigiana di primo rango con la quale aveva avuto relazioni quand’era all’apice delle ricchezze, ed egli, quella notte, era ormai deciso a divertirsi come ai vecchi tempi. La ragazza si chiamava Kachō e, con l’assistenza della loro precedente mezzana,  si ritrovarono nuovamente insieme : sin dal loro primo incontro avevano provato reciprocamente un genuino affetto e quella notte, poiché dividevano il guanciale per l’ultima volta, sperimentarono la profondità di una passione che non avevano conosciuto prima.

Kanaya notò a capo del guanciale un paravento sulla cui intera superficie laccata in argento erano incollati antichi esempi di calligrafia, tutti famosi: in particolare, notò che c’erano numerosi fogli di poesie tratte dalla Centuria poetica (Hyakunin isshu), nella calligrafia di Fujiwara Teika, sei dei quali non erano neppure menzionati nei cataloghi dei collezionisti. Più li osservava più si convinceva che erano di originale carta antica, risalenti effettivamente alla mano di Teika. Chi poteva aver donato un tale paravento alla cortigiana? Ora che era completamente preda della cupidigia, le delizie dell’amore finirono in secondo piano: le visite a Kachō si fecero frequenti e regolari e l’uomo seppe recitare così sapientemente la parte dell’innamorato che, in breve tempo, la cortigiana scoppiava a piangere tutte le volte che lui se ne andava – se gliel’avesse chiesto, sarebbe stata capace di tagliarsi i riccioli d’ebano. Quando egli le domandò il paravento, la donna glielo offrì senza pretendere una sola parola di spiegazione: alla fine, non finendo più di salutarla, s’incamminò alla volta della provincia natia, dove riuscì a vendere il paravento ad un daimyō, ricavandone una quantità enorme di denaro. Ancora una volta divenne un grande mercante, circondato da tanti assistenti come in passato.

Dopo questo successo Kanaya scese a Nagasaki per comprare la libertà a Kachō: poiché costei s’era innamorata di un giovanotto della provincia di Buzen, egli inviò una cospicua dote a casa di quell’uomo, insieme con un completo corredo nuziale e mobili d’ogni genere, facendoli sposare. La gioia di Kachō non conosceva limiti e giurò che non avrebbe più dimenticato gi obblighi che la legavano a Kanaya.

In fondo aveva fatto fortuna giocando uno scherzo a una cortigiana… ma per arricchirsi ci sono metodi peggiori.

Il suo genio che seppe valutare un oggetto antico vinse l’ammirazione universale.

 

Ihara Saikaku (1642-1693)

Da “Il magazzino eterno del Giappone” in Storie di mercanti, traduzione di Michele Marra, Utet, Torino, 1983, pp. 97-101.

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In giorni come questi occorre la pazienza del ragno, vero Saikaku? Attendiamo, prendiamoci cura l’uno dell’altro, pensiamoci vicini e non soli e alla fine potremo ricostruire la nostra quotidianità. Più forti di prima. Coraggio a tutti noi!