Mukashi mukashi. Letture per farci compagnia. Tardo incontro. Dal diario di Ichiyō.

Mizuno Toshikata (1866-1908), Illustrazione per il frontespizio di un romanzo, 1899.

Da Mizu no ue (Sull’acqua). 3 giugno 1895.

Oggi è il giorno della conferenza di Taruta Minoko, ma non posso andarci. Nel pomeriggio sono andata a fare una visita al maestro Tōsui* a Misakicho, ma mi hanno detto che ora si trova nella residenza principale a Iidamachi. Esattamente è al numero 21, 4-chome. Ci sono andata e mi sono accorta che è separata dalla casa di Tanaka Minoko solo da una stradina. C’era un salice piangente vicino a delle mura nere. Non è una casa particolarmente elegante, ma è molto grande. Dopo cinque anni rivedo sua sorella minore Tōda Kō. Le ho fatto le condoglianze per la morte del marito, e allora si è rattristata e le sono venute le lacrime agli occhi. La figlia di Tsuruta, che si chiama Chiyo, quest’anno ha cinque anni e si è molto affezionata a me tanto che non si allontana mai dal mio fianco; forse crede che io sia la sua vera mamma. Mi ha fatto tanta pena.

Quando le ho chiesto se mi aveva dimenticata, scuotendo la testa dai capelli folti tagliati alla paggio, mi ha risposto di no. Avendo difficoltà a salire le scale del secondo piano, si è aggrappata alla mia mano: mi faceva tenerezza anche questo salire insieme. Voleva anche portare il tè ed i dolcetti, nonostante l’avessero ammonita che era difficoltoso. Insisteva:

“Nessuno deve toccarli, perché all’ospite li porto io”, e si dava da fare impegnandosi con tutte le forze. Nel frattempo si era svegliata anche la figlia della signora Tōda ed ella, abbracciandola, ce l’ha portata a far vedere. Ha ancora solo dieci mesi ed è bella grassottella, rotonda proprio come un bambolotto. È veramente graziosa. Sia gli occhi che il naso sono piccoli e mi ha fatto piacere sentire che è una bambina che piange di rado. Allora l’ho abbracciata e, un po’ scuotendo un sonaglio a forma di tamburo, un po’ mostrandole un cane di cartapesta, l’ho fatta affezionare a me ed ella, camminando carponi, è salita sulle mie ginocchia. Kō sospettosa mi ha detto:

“Questa è una cosa strana. Di solito è una bambina tranquilla, ma con gli sconosciuti piange e non si fa sfiorare neanche una mano. Giorni fa Nonomiya e Okubo avevano provato a coccolarla ed ella era scoppiata a piangere mettendo tutti in imbarazzo; oggi, invece, ha subito familiarizzato con te e sembra insolitamente contenta”.

Il maestro Tōsui con un sorriso ha fugato ogni dubbio dicendo:

“C’è semplicemente un’attrazione tra lei e la bambina”.

Mi trattavano nel migliore dei modi offrendomi sushi, frutta ed altro. Dopo quattro anni ero felice di vedere il volto sorridente del maestro Nakarai. Mi ero rasserenata come se tutte le nuvole fossero state spazzate via dal mio cuore. Ma dove era finita la sua bellezza di un tempo? La sua carnagione, che un tempo era bianchissima come neve, si era scurita sempre più; soltanto il naso sembrava ancora più affilato. Anche la larghezza delle spalle e la rotondità delle ginocchia a poco a poco si erano assottigliate; a prima vista poteva anche dimostrare quarant’anni. Tuttavia, quando parlava con aria nostalgica e sorrideva, non era tanto diverso dal giovane che avevo conosciuto. Pensai che ora era proprio come un fratello maggiore o uno zio.

Il maestro Tōsui mi parlava con tono confidenziale: “Quanti anni hai? Ventiquattro? Da quando ci siamo incontrati per la prima volta cinque anni fa non sei cambiata neanche un po’”.

Egli mi considera come una qualsiasi amica e non sospetta minimamente a quale genere di tortura mi sia dovuta sottoporre per causa sua e quante lacrime io abbia versato. Ormai mi sono liberata da ogni desiderio e non spero neanche di realizzare una vita felice con lui, come qualsiasi donna avrebbe sognato. Nello stesso tempo, sono scomparsi anche quei vecchi rancori che, una volta, mi avevano spinto ad odiarlo fino al punto di immaginarmi impassibile, senza neanche una lacrima, se lo avessi visto morto. Ora mi piace considerarlo soltanto come un caro ed amato amico. Quando lo osservo, mentre nella mia mente vagano questi pensieri, ho la sensazione di stare di fronte ad una persona misericordiosa, ad un Buddha: ho capito che il Bodhisattva e il Demone sono due facce di una stessa cosa e mi sento commossa in un modo che non so esprimere.

Sul far della sera, quando ho pensato di togliere il disturbo, mi ha detto: “Allora, ritorna presto. Anch’io, come al solito, verrò a farti visita in una bella giornata senza tuoni! E potremmo anche andare a vedere uno spettacolo di varietà”.

Scesa nel salotto del pianoterra ho sentito che il padre del maestro esclamava: “La signorina Higuchi è già andata via? Avrei avuto piacere di vederla anch’io” e, scortami:

“Venga di nuovo. Faremo due chiacchiere con calma”.

L’affettuosa ospitalità delle persone di quella casa mi ha riempito di immensa gioia tanto che, congedatami, avevo la sensazione di vivere un sogno.

Tornata a casa ho fatto subito un bagno caldo. Sulla strada del ritorno ero stata colta dalla pioggia. Quella sera c’è stato un acquazzone.

 

Higuchi Ichiyō

(1872-1896)

 

Traduzione di Paola Cuppone.

Da:  Paola Cuppone, Ritratto di Higuchi Ichiyō in Pagine dal Giappone Meiji, a cura di Teresa Ciapparoni La Rocca, Roma, Bulzoni, 2009,  57-58.

*Si tratta del giornalista e scrittore Nakarai Tōsui (1861-1926) che Higuchi Ichiyō considerava il proprio mentore.

 

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In questa delicata pagina di diario Ichiyō rievoca una nuova visita con il maestro Nakarai a quattro anni dall’ultimo incontro. Entrambi sono cambiati e anche lo sguardo della giovane scrittrice sul maestro di cui si era invaghita è ormai mutato: disincantato e disamorato.  Letti uno dopo l’altro, i due brani che ho presentato in questi giorni costituiscono, secondo me, un interessante documento circa l’evoluzione della personalità della scrittrice e la fine di un sentimento tenero e mai corrisposto.