Doko kara?
Doko kara? to kaze ga tazuneru.
Budō no fusa wa yureru dake
doko kara? nan’te, kotaerare nai.
Kizuita toki wa, koko ni ita.
Moshika shitara kiri no naka
iwa no naka kamo shirenai ga,
moshika shitara sora no hate.
Kotaerare nai, doko kara? nan’te.
Demo doko kara to, toi dasu budō.
Nemure nai hi ea tsuzuki
fusa wa higoto ni omosa o mashita
hotondo namida no katachi ni mieta.
Itsu demo toi wa machigaeru
demo toinasai doko kara to.
Furisosogu tōi mono
sore ga yubi da to kizuku made
machigaeta mamade toitsunore.
Sore ga deai to kizuku made.
Hikari no yubi ni sawararete
yutaka ni ureru budō no mi desu
fatto nemureru budō no mi desu.
Da dove?
Da dove? chiede il vento.
Si scuote solo il grappolo d’uva,
perché non sa rispondere: da dove?
Quando s’è reso conto, era già qui.
Potrebbe esser venuto dalla nebbia,
forse dalla roccia,
oppure forse dal cielo senza fine.
Non può rispondere alla domanda: da dove?
Però comincia a chiedere: da dove?
In seguito a giorni d’insonnia
il grappolo è cresciuto di peso,
e ha cominciato a formarsi come gocce di lacrime.
Chiunque potrebbe sbagliarsi nel porre la domanda,
ma occorre domandarsi: da dove arriva
l’essere lontano che irradia la terra?
Finché t’accorgerai che quello è un dito,
chiedilo con intensità pur sbagliando.
Finché t’accorgerai che è un incontro…
Toccato dalle dita di luce
il maturare abbondante è frutto d’uva,
il dormire alla fine è frutto d’uva.
Takano Kikuo
(1927-2006)
Da: Secchio senza fondo (Poesie 1952-1998), a cura di Paolo Lagazzi e Matsumoto Yasuko, Fondazione Piazzolla, Roma, pp. 172-173.