Nella calda notte estiva, in una città del nord del Giappone (è Yamagata, è il Tōhoku), risuonano i sonagli e i tamburi della parata del matsuri. Osservo dal mezzo della folla assiepata ai lati della strada i gruppi di danzatori in freschi kimono estivi susseguirsi al ritmo della musica della festa tradizionale. D’improvviso ecco comparire buffi personaggi mascherati che si muovono a passo di danza ma con movimenti volutamente scomposti, esagerati o furtivi: quelli di una pantomima. Donne e uomini dai giacchini colorati (i tradizionali happi) indossano contemporaneamente – una sul viso, l’altra sulla nuca – le maschere di Okame e Hyottoko, i personaggi del folclore, immancabili e amatissimi.
I bambini ne sono conquistati (sarà per le caramelle e i dolcetti che distribuiscono lungo tutto il percorso della sfilata?), gli adulti li seguono con lo sguardo, ridendo e applaudendo ai loro sberleffi.
Chi si nasconde dietro la maschera? Non ha importanza saperlo.
Okame e Hyottoko, la bella donna paffuta e il suo compagno mal rasato, dalle labbra prominenti, il ghigno storto e gli occhi asimmetrici, sono i protagonisti della festa. In apparenza solo una coppia di contadini, regina del folclore dell’antico Giappone rurale. In realtà, divinità bonarie mai troppo lontane dai loro devoti.
Perché, come spesso avviene quando si parla delle arti giapponesi, anche nel caso di Okame e Hyottoko siamo in presenza di una trasformazione, come spesso avviene, di tipi, ambienti e situazioni, del passaggio di personaggi elevati – in questo caso delle divinità, addirittura – al loro contraltare buffo, comico, nelle danze folcloriche e nelle feste religiose e popolari.
Sono soggetti le cui sembianze ci sembra di riconoscere un po’ ovunque, quando ci muoviamo per le strade del Giappone, quando visitiamo templi e santuari, quando ci aggiriamo curiosi fra le bancarelle dei mercatini, e che ritroviamo nelle maschere, che ritroviamo nelle bambole kokeshi, nei decori delle stoffe degli yukata, o che riconosciamo guardando all’insù, ecco, proprio sull’insegna della bottega che ci sta di fronte. E ci troviamo a sorridere. Come a vecchi amici.