Son piccole cose, sono minuzie, piccole osservazioni senza importanza: quanto mi piacciono queste fragili foglie, questi tratti sottili di pennello che danno vita a una frase, un’opinione, una lista di piccoli piaceri, di altrettanto banali disgusti. Ecco, sì, mi piace, la leggerezza – solo apparente, però – di un’osservazione buttata lì, su un foglietto volante, un elenco di cose buffe o piacevoli o deludenti scritto in un momento di ozio o di noia (tsuzurenarishi ori), come confessa la poetessa Izumi Shikibu: uno yoshinashigoto, insomma.
Piccoli pensieri di cui letterate e letterati del Giappone sono stati maestri: Sei Shōnagon, Izumi Shikibu, Yoshida Kenkō sono i primi nomi che mi vengono in mente, ma quanti altri ancora potremmo ricordare?
Dopo romanzi chilometrici che occupano oziosi pomeriggi di pioggia o interminabili domeniche invernali, lasciandoci a volte un’insopprimile impressione di spreco – di ore, di attenzione, di carta – quanto è rigenerante tornare alle fulminee osservazioni magari di una poetessa lontana nel tempo, eppure così vicina. Insofferente, a volte, proprio come me.