Siamo tornati tante volte, a Takayama, da allora. Eppure quell’estate umida e a tratti piovosa, quella prima volta, ci resta impressa nella memoria come un momento unico. Forse perché ci ritrovavamo unici turisti in quelle strade antiche dove poi, negli anni successivi, avremmo incontrato numerose e ingombranti comitive di turisti non solo giapponesi; forse perché ci era capitato di giungere in città per Obon e avevamo ascoltato i tamburi del matsuri e avevamo assistito dal ponte rosso ai fuochi d’artificio preparati lungo il fiume. Poco importa se la pioggia era giunta a rovinare un po’ lo spettacolo – lo spettacolo era lì, fra le risa delle persone, fra gli ohhh ammirati dei bambini, fra il fumo delle bancarelle di yakisoba e gli assaggi di senbei di riso. Il chiacchiericcio che usciva dai piccoli ristoranti si mescolava alla voce melodiosa di una cantante mongola presentata come ospite della festa. In fondo alla strada, un gruppo di suonatori di shamisen.
Nella via gremita di gente che sorseggiava bevande per rinfrescarsi e cedere poi alla tentazione di spiedini cotti al momento, ci sentivamo bene. E, attraversando il ponte poco lontano per tornare al ryōkan, riuscivamo a sentire il rumore della corrente del fiume contro le pietre. Un suono che rinfrescava la notte.