Tōhoku nel cuore. Invito a Matsushima.

Di fronte alle isole. Matsushima, 9 agosto 2013.

 

Un tavolino all’angolo di una vetrata, al primo piano di un edificio nuovo. Pavimento in doghe grezze, sedie impagliate in legno naturale, profumo di legno ovunque, dalle travi ai ripiani dal rigore minimalista, agli scaffali su cui sono allineati libri e riviste, in un disordine elegante.

Sul tavolino, i resti di un caffè freddo: un bicchiere alto in cui i cubetti di ghiaccio rimasti hanno assunto un caldo colore scuro, una cannuccia inclinata, uno oshibori appallottolato con poca grazia e gettato sopra a un minuscolo cestino.

L’insieme non è privo di eleganza. Le venature del legno sono paesaggi immaginabili e ricreabili all’infinito ma là fuori, oltre la vetrata, nel pomeriggio che sta per spegnersi, là, proprio di fronte agli occhi, è un incomparabile paesaggio, sono le isole dei pini.

Il mare è frantumato (non diceva forse il poeta “va in frantumi il mare d’estate”?). La terra si è raggrumata sul mare, in piccole porzioni di bellezza. E’ un dono dei kami? Il dono di un’età remota in cui gli uomini non erano ancora e forse neppure le cicale? Io non so.

Forse gli dei già scendevano il ponte de cielo e la marea scendeva e saliva ad abbracciare queste ripide coste da  cui i pini si chinano a lambire la superficie dell’acqua.

Lì vorrei portarti. E non altrove.

Matsushima, incomparabile bellezza. 9 agosto 2013.

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