In quest’effimera dimora ch’è il mondo…

 

Casa rurale della valle di Kiso. Estate 2012.

Scorre incessante il fiume e la sua acqua non è mai la stessa. Nelle sacche, le bolle là si formano qui si dissolvono, non una di esse rimane per molto: così è per l’uomo e la sua abitazione.

Sembra possano sfidare imperiture i secoli le dimore di grandi e meno grandi che a fianco l’una dell’altra fanno gara di maestosità e splendore nella capitale fulgente e invece, a ben guardare, sono rare quelle rimaste tali sin dai tempi antichi. Alcune, bruciate l’anno scorso, le han ricostruite in questo, altre erano grandi magioni ma, cadute in rovina, son diventate ora piccole case. Così è per i loro abitanti: il luogo è il medesimo, la gente che ci vive è sempre numerosa, e tuttavia saran rimasti sì e no uno o due, d’una trentina che erano, quelli che vi conoscevamo. Per un uomo che muore al mattino, uno ne nasce alla sera: così è di norma il nostro vivere e in questo sembra davvero semplice schiuma sull’acqua. Nel suo nascere e morire donde venga l’uomo, dove vada, io non so. Né so, in quest’effimera dimora ch’è il mondo, per chi ci si assilli, per quali ragioni si pensi al solo diletto degli occhi: non competono che in transitorietà simili padroni e le loro case e per condizione non sono diversi da un convolvolo cosparso di rugiada. Può darsi infatti che la rugiada scivoli via e rimanga il fiore, ma esso rimarrà soltanto per appassire al sole del mattino; o forse sarà il fiore ad avvizzire prima del dissolversi della rugiada, ma, anche così, questa non vedrà sera.

Kamo no Chōmei

(1153-1216)

Da Ricordi di un eremo (Hōjōki), Marsilio, Venezia, 1991,  pp. 53 e 54. Traduzione di Francesca Fraccaro.

 

In margine a una conferenza su mujō. Impermanenza.

Villa Lagarina, 29 giugno 2013.

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