Le nebbia che si insinua fra i rami degli alberi che rosseggiano. Immagine scontata di cartolina in mezzo a cui ti ritrovi inconsapevolmente.
Quell’aria sottile che ti penetra, ti accarezza la pelle delle braccia ancora scoperte e ti fa rabbrividire, ma quasi per scherzo.
La stoppia gialla nei campi, promessa di future distese gelate su cui fermi lo sguardo, come immemore del treno che avanza e ti porta in città. Cos’è?
Cos’è, cosa saranno i ricci che calpesti all’ingresso dei giardini pubblici, mentre ti meravigli del sole che ti sfida, ancora e ancora. La luce che sferza il giallo delle foglie e lo tramuta in oro, che colpisce i muri dei palazzi di corso Venezia, isolando un capitello qui, un atlante che sorregge un androne o forse il mondo là, la ringhiera di un balcone, una bandiera abbandonata a una finestra, edere incongrue e cipressi su un terrazzo.
Sarà, ma sarà cosa? I binari che ballano, i pali che ti vengono incontro nella loro nudità, tralci colorati di vite selvatica avvinghiati alle palizzate, fiori gialli asfittici e tenaci poco oltre i mattoni di San Cristoforo. Cosa, cosa saranno. I manichini freddolosi di piazza San Babila, la frenesia di rondini in un parco timido e nascosto, i richiami di chi sta per partire e si abbandona all’ultimo abbraccio caldo della stagione già finita.
Cos’è, cosa sarà. Non so. Non lo so più.
Ma quel turbinio di idee, di energie, di movimenti – del corpo, della mente, del cuore (e che sì, lo so, ci sono) – ti spinge a inspirare profondamente, nel mattino umido di nebbia, il mondo… ah quello lo so bene cos’è. E mi appaga, mi fa star bene, mi riempie di colori, di idee, di timida gioia.
Autunno.
Per Giada.