Anche se non si tratta di lingua giapponese, bensì della nostra bistrattata, banalizzata, torturata, ingiuriata lingua, lasciatemi divertire! (Palazzeschi docet, per chi se lo ricorda. Io sì.)
Lasciatemi invitare tutti a rispondere alla chiamata della Società Dante Alighieri, a cedere alla tentazione di adottare una parola della lingua italiana, di custodirla, di annaffiarla come una pianta rara sempre assetata. Di farla vivere, insomma.
Arriviamo sempre un po’ tardi, si sa. Analoghe campagne in Gran Bretagna e in Spagna hanno avuto un successo insperato. Della Francia non vale neppure la pena di parlare: Luigi XIV, meglio Richelieu, ha fondato l’Académie per la salvaguardia della lingua francese nel 1635 ma Francesco 1° già nel 1539 disponeva, in un’ordinanza, che ogni atto pubblico avrebbe dovuto essere redatto “en langage maternel français et non autrement”.
Che fare, dunque, per rispondere all’appello della Dante Alighieri?
Basta visitare il sito http://adottaunaparola.ladante.it/
scegliere un dizionario e decidere fra le varie parole proposte quale sarà oggetto delle vostre cure “linguistiche”. Vale a dire: “
Ogni iscritto potrà adottare la sua parola preferita selezionandola dalla lista disponibile sulla pagina dedicata al progetto, indicare la motivazione della scelta e la sua citazione preferita, sottoscrivere una dichiarazione simbolica nella quale si impegna a promuovere la parola quando ne ha l’occasione, invitare gli amici a partecipare, monitorare l’uso proposto della parola attraverso vari canali, segnalandone usi non appropriati o nuovi significati rispetto a quanto documentato dai dizionari. In questo modo chi partecipa al gioco diventa custode della parola, riceve un certificato elettronico e mantiene questa qualifica per un anno.”
Per un anno, dunque, sarà vostra responsabilità farla conoscere, utilizzarla, mantenerla in vita.
E, nel frattempo, compito per tutti sarà di non dimenticare migliaia di altre parole abbandonate al loro destino fra pagine polverose sugli scaffali più elevati della biblioteca.
Ma se ogni parola costituisce un tassello del bene comune della lingua, non riuscirò mai a liberarmi di parole che, lo confesso, non sopporto. Parole che mi fanno accapponare la pelle ogni volta che le sento e che suscitano, senza che io possa avvedermene, un ghigno che fatico a trattenere. Una per tutte: baipassare (no, “bypassare” no, per pietà). E che ne dite di implementare?A me suscita un moto di orrore e raccapriccio.
Il termine che ho scelto? Un avverbio. Lo ammetto, amo le sfide.
Emblematicamente
è la mia parola.