Nihon no natsu 2: furin, le campanelle.

Furin in vetro nello stile di Edo. Kawagoe, agosto 2009.

 

江戸風倫

Edo furin

 

Si chiamano furin le piccole campane di porcellana o di vetro al cui batacchio è attaccata una lunga strisciolina di carta (tanzaku) che reca una poesia o una preghiera e che la minima brezza fa muovere.

Si crede che il loro suono chiaro, leggero, argentino rinfreschi l’aria e allontani gli insetti. Per questo vengono generalmente appese sui tetti che sporgono sulle verande, alle finestre o agli ingressi delle case nei mesi estivi.

Se riferimenti al potere “rinfrescante” (almeno per lo spirito!) del suono di una campana che ondeggia al vento nelle calde notti d’estate si trovano nella letteratura giapponese sin dal periodo Heian, è però nel periodo Edo che, proprio nella capitale degli shōgun, si iniziano a fabbricare furin in vetro. All’epoca, infatti, il procedimento della soffiatura del vetro era una novità in Giappone e possedere un oggetto in questa materia così fine e leggera era diventato una moda molto apprezzata.

Piccoli globi delicati di vetro, con un piccolo batacchio in metallo o in vetro anch’esso, un bordo irregolare che permette variazioni sonore quando è colpito in vari punti e una lieve decorazione tipicamente stagionale o geometrica – di volute, di onde, di piccoli pesci rossi, d’erbe o d’insetti – sottolineano con il loro suono, così caratteristico, il minimo alito di vento e nell’aria ferma dell’afosa estate giapponese creano l’illusione di un po’ di fresco. Ma è, questa, un’illusione che dà un piccolo, puro piacere, un piacere semplice e gratuito. Delizioso.

Per questo le delicate furin sono strettamente associate nell’immaginario giapponese all’estate, il cui clima aiutano a sopportare. Verranno poi riposte non appena il vento carico d’autunno inizierà a spirare. In attesa della prossima bella stagione.

 

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