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IL MIO INIZIO CON IL GIAPPONE
Vorrei che degli amici ci raccontassero in questo spazio il loro primo incontro con l’idea del Giappone, più che con la realtà di un viaggio o di un’esperienza vissuta.
Insomma, la nascita del loro interesse, della loro passione.
E, per rompere il ghiaccio, mi cimento io per prima.
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Com’è iniziata? Già, come sarà stato? Mi è stato chiesto tante volte e ogni volta lo sforzo di razionalizzare questa passione per il Giappone ha dato risultati diversi. Del resto tutto si nasconde con la nebbia degli anni…
Ma poi qualche velo si squarcia e la memoria ritrova un’immagine.
Un libro, inevitabilmente. Il ricordo di una malattia infettiva. Io bambina nel grande letto dei miei genitori a cui avevo diritto durante il giorno, perché il letto a castello che condividevo con mio fratello (io al piano alto) sembrava troppo scomodo per tenermi sotto controllo. La mamma che in camice bianco entra nella stanza con un grande libro dalle splendide illustrazioni. Un libro che possiedo ancora. Un libro di fiabe giapponesi. Issunbōshi, Kaguyahime, Hanako,la principessa con la ciotola in testa, Urashimatarō come nuovi compagni di gioco. Le illustrazioni di un certo Benvenuti, in quel gigantesco libro stampato nel lontano 1960 dalla Fabbri, hanno costituito per me il primo sogno di orientalismo. Poco ricordo di allora, è vero. Ma che non mi stancavo di rileggere quelle pagine e di guardare stupita e ammirata quelle immagini flessuose, quei kimono, quelle armature, quei visi allungati come semi di melone (ma ancora non conoscevo gli ukiyoe), quello sì, eh sì che me lo ricordo. Il Giappone si insinuava allora in me come un tarlo, come un seme: merito della mamma!
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Poi, come assopito ma vigile, l’interesse è rinato l’anno della maturità. Ricordo un’estate ultima di spensieratezza, ricca di letture e di acquisti di romanzi giapponesi (Tanizaki e poi Kawabata, Mishima) e nell’autunno, poi, subito il primo lavoro, in una libreria universitaria.
Nuove esperienze e nuovi amici e al primo compleanno il dono, inaspettato, di un profumo giapponese dal nome intrigante: Murasaki.
Una sfida alla mia curiosità. E l’inevitabile ricerca alla biblioteca Sormani, allora mia seconda casa, profumo di vecchi libri, rilegature sbrecciate, cassetti pieni di schede come tanti indizi di una caccia al tesoro.
Murasaki era donna, anzi, una dama di corte abbigliata in kimono tanto simili a quelli del mio vecchio libro di bimba. Murasaki era un libro, il Genji Monogatari. Murasaki era un mondo, che mi rivelava come un mistero iniziatico. Un mondo nel quale mi invitava ad entrare.
Non ne sono più uscita.
Carissima Ross:
quel libro me lo ricordo bene anch’io e che emozione nel rivedere la copertina! Mi ricordo ancora quando me ne leggevi qualche fiaba. Grazie, Mumu