Rōma no natsu
Yodōshi ishi no naka no kutsuoto ga yamanai
dare mo konai noni nobu wa nando mo mawasareru.
Nemure nai heya o nukedashi
mada akeyaranu tebere ni sotte aruku.
Nani ni kotaeau tame ni kita no ka?
Sono mizu mo mata, hakobi hatase nai mono o mochi
tachidomaru ni wa tōsugiru mono o mochi
yudaneru ni wa kanashi sugiru mono o motsu.
“Boku wa shijin de wa nai
boku wa tada naki jakuru kodomo ni suginu.”
to kaita Sergio Corazzini,
naze ka sono shiku o shikiri ni omoidashite iru.
Watashi mo mata tabun naku tame ni kita noda
hoshizora o, dare mo inai hiroba o, funsui no oto o
kikoenai oto to sugisaru toki no kakato o
dekireba kimi no oetsu o mo nakitsugu tameni.
L’estate a Roma
In una notte di incessanti passi che rimbombano sulle pietre,
malgrado nessuno venga, si gira la maniglia della porta.
Uscito dalla stanza d’insonnia
cammino lungo il Tevere nella notte.
Cosa rispondere, son venuto?
Anche l’acqua nel fiume ha qualcosa di intrasportabile,
qualcosa di troppo lontano per soffermarsi
e di troppo triste per rassegnarsi.
“Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange”.
Con ossessione mi vengono in mente
i versi di Sergio Corazzini.
Sono venuto forse anch’io per piangere
il cielo stellato, la piazza deserta, il rumore di fontana,
o il suono impercettibile; il suono del tempo che passa,
per continuare il tuo singhiozzo, se possibile.
(1998)
Takano Kikuo
(1927-2006)
Da: Secchio senza fondo (Poesie 1952-1998), a cura di Paolo Lagazzi e Matsumoto Yasuko, Fondazione Piazzolla, Roma, pp. 196-197.