Fare atto di presenza
Per ognuna delle attività che coinvolgono l’intera comunità, che si tratti di esercizi religiosi, di sedute di insegnamento, di pasti, esiste uno specifico segnale sonoro. Per esempio, le cerimonie che si tengono nel padiglione della Legge e in quello del Buddha sono annunciate dalla campana del tempio e dal tamburo del Dharma. Per i pasti si ascolta il gong “nuvola”* mentre le tavolette di legno convocano al tè collettivo, alla cena “pietra medicinale” e al bagno. Quanto alle sedute di incontro con il maestro, è la campana della consultazione che le indica.
Quale che sia il compito, cinque colpi vogliono dire “Prepararsi!”. È il momento per la grande assemblea di infilare la veste, di munirsi delle proprie cose come, per esempio, la bisaccia per a questua, e di tenersi pronti. “Agli esercizi!” è indicato dallo stesso tipo di suono, ma continuo. A volte, però, possono succedersi, con lo stesso significato, sette colpi, poi cinque, poi tre. Al timbro e ai colpi risponde la campanella del cerimoniere, che segnala che l’assemblea è sul punto di recarsi alla sala di meditazione.
Circolare nella sala di meditazione dopo esservi entrati dalla porta sul davanti si fa solo in occasione delle sedute di consultazione e di meditazione, una regola che un monaco disciplinato non potrebbe infrangere senza avere delle buone ragioni.
Quando si è in più di due a muoversi nel tempio, occorre adottare la formazione a “volo di oche selvatiche”, nella quale un monaco cammina dietro all’altro, la mano sinistra posata sulla destra davanti al petto, sempre in silenzio. Che qualcuno agiti i gomiti o trascini il piede, il rimbrotto sferzante di un anziano lo richiamerà all’ordine! Là dove risuonano solo “suonerie”, risuona la parola! La fila dei monaci che prende un lungo corridoio per raggiungere con andatura solenne il padiglione principale evoca precisamente il volo delle oche che si allontano facendo vibrare il cielo autunnale.
Davanti a una vita comunitaria che si svolge in silenzio conformandosi a dei segnali sonori, non è forse legittimo parlare di opera d’arte?
Satō Giei
(1920-1967)
Fonte:
Satō Giei, Journal d’un apprenti moine zen (Unsui nikki, 1966),
traduit du japonais par Roger Mennesson, Arles, Philippe Picquier, 2010, pp. 40-41.
Edizione giapponese pubblicata da The institute for Zen studies nel 1972.
❖Mia traduzione “di servizio” dall’edizione in lingua francese.
*Questo piccolo gong appeso, a forma di nuvola, si chiama unban.
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