Fine del riposo notturno
Tre e mezza in estate, quattro e mezza in inverno, tre durante le sessioni intensive: l’ora della sveglia cade terribilmente presto. Il preposto al padiglione del Buddha passa attraverso gli edifici e all’interno del padiglione di meditazione. “In piedi!” lancia a gran voce, scuotendo la campanella. La sala degli esercizi è testimone di una grande agitazione: la grande assemblea, appena sente il segnale del cerimoniere, si leva come un sol uomo, arrotola i materassi che raggiungono il ripiano, poi si dirige verso i lavandini, la veste da giorno stretta intorno ai corpi. Lavarsi, soddisfare i bisogni naturali, vestirsi, deve essere questione di quindici minuti: conviene non perdere tempo! I nuovi arrivati, che hanno ancora un piede nelle vecchie abitudini, fanno fatica a far bene quello che richiederebbe del tempo e deve essere fatto con metodo e sangue freddo, ciò nonostante sentono rovesciarsi addosso a sé delle montagne di insulti – ah, questi anziani non sono certo teneri!
Ai lavandini, l’acqua pura cola in abbondanza e riempie una vasca di pietra. Ma vi sono stati disposti appositamente dei mestoli. Ciò che è al servizio di tutti esige delle precauzioni per evitare gli sprechi. È il caso dell’acqua: utilizzarla con parsimonia traduce l’attenzione riconoscente che bisogna mostrare verso la natura e i suoi doni.
Satō Giei
(1920-1967)
Fonte:
Satō Giei, Journal d’un apprenti moine zen (Unsui nikki, 1966),
traduit du japonais par Roger Mennesson, Arles, Philippe Picquier, 2010, pp. 38-39.
Edizione giapponese pubblicata da The institute for Zen studies nel 1972.
❖Mia traduzione “di servizio” dall’edizione in lingua francese.
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