Japonismes. Letture per farci compagnia. Pierre Loti e Asakusa.

Utagawa Hiroshige, Il mercato di Asakusa, 1853.

La Saksa, ossia un’alta e immensa pagoda di un rosso scuro, e una torre a cinque piani dello stesso colore, domina una corte di alberi centenari tutta piena di botteghe e di persone. È un angolo del vecchio Giappone, e uno dei migliori. C’è, del resto, proprio oggi, un matsuri (cioè una festa e un pellegrinaggio). Non c’è dubbio: alla Saksa c’è quasi sempre un matsuri! E delle legioni di mousmés sono qui, nelle loro più belle toilette, delle mousmés ridicole e delle mousmés graziose; in tutti i loro bei chignon, che sanno farsi così ben lisci, sono inseriti dei fiorellini magnifici che non assomigliano ad alcun fiore reale. In fondo a tutte quelle piccole schiene fragili e graziose, deviate in avanti dall’abuso ereditario della riverenza, delle cinture dai colori molto ricercati modellano delle grandi conchiglie in forma di ali, come se vi si fossero venute a posarsi delle grandi farfalle.

[…]

Da tutta questa folla si alza un brusio di risate e di voci lievi, molto più discreto, più gentile, più ammodo che il vocio delle folle francesi. 

Il cielo sopra le nostre teste è proprio un cielo d’inverno, di un azzurro pallido e freddo. Gli alberi di questo recinto, che sono immensi e molto vecchi, stendono nell’aria le loro lunghe braccia spoglie. […] In mezzo ai loro rami si eleva la torre a 5 piani, snella e strana, che disegna sulla luce fredda, verso l’alto, i bordi curvi dei suoi cinque tetti sovrapposti: tutto il ritaglio della sua silhouette rossastra, di una giapponeseria eccessiva. E, infine, il grande tempio, irto di altri tetti curvi, e irregolarmente rosso, di un colore del sangue che si direbbe secco, occupa tutto lo sfondo del quadro, con la sua massa squadrata, incombente.

È uno dei luoghi di devozione più antichi e più celebri di Yeddo, questa Saksa. La parte del santuario che è aperta ai fedeli, e in cui entro con la folla, sembra una sorta di sala, alta e oscura, dipinta di un rosso-sangue come l’esterno; le porte sono relativamente basse per lasciare, seguendo l’uso, nell’oscurità e nel vago, la volta elevata, da cui pendono delle enormi girandole in metallo e dove dei vecchi demoni si scorgono nell’ombra. Scarso raccoglimento sotto questo colonnato in legno di cedro, in cui i gruppi circolano e chiacchierano, illuminati dai riflessi di una luce invernale radente. Sarebbe anche necessario “cacciare i venditori” di questo tempio, perché ci sono contro tutti i pilastri dei cambiavalute, dei mercanti di immagini, di libri religiosi, di fiori. Dei bambini vanno e vengono, corrono, si chiamano, con delle vocette qui più sonore e più rumorose. Dei piccioni volano in tutte le direzioni, per appollaiarsi sulle lanterne, sui pennoni degli stendardi, mescolando al mormorio delle conversazioni il brusio ronfante delle loro ali. C’è anche il suono delle monete, delle offerte continuamente lanciate e che cadono dentro a tronchi squadrati a fessure, simili a grandi gabbie; e poi, da una parte e  dall’altra, davanti agli altari privilegiati, davanti a certe immagini, certi simboli, si sentono quei rapidi battiti di mani, pan pan, che si fanno durante la preghiera per attirare l’attenzione degli Spiriti.

In un gigantesco brucia-profumi in bronzo, sul coperchio del quale sogghigna un mostro grande come un grosso cane, tutti i fedeli che passano gettano dei bastoncini di incenso, e ne esce una spirale di fumo profumata che se ne va fluttuando verso le volte, fra il groviglio di tubi e di pale, come una nuvola.

In fondo al tempio, in un recesso pieno di mistero, alla luce di alti e magnifici lampadari, in una semi-oscurità ricercata, dietro a delle colonne e a delle barriere traforate, attraverso un caos di lanterne, di stendardi, di brucia-profumi e di mazzi di fior di loto in bronzo, si intravedono confusamente gli dei, che sono dei colossi dal sorriso molto calmo, che si distaccano da fondi laccati in oro.*

Pierre Loti

(1850-1923)

Da: “Yeddo” in Japoneries d’autumne, 1889.

Citato in Le goût de Tokyo, Paris, Mercure de France, 2008, pp. 35-38.

*Naturalmente si tratta di Asakusa.

**La traduzione è mia.

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Ufficiale, avventuriero, scrittore: Pierre Loti, autore del celebre Madame Crysanthème (1887, tradotto in italiano nel 2014 col titolo Kiku-san, la moglie giapponese, edizioni ObarraO), rappresenta una figura di spicco nel panorama dell’orientalismo fin de siècle. Tornato cinque volte in Giappone, Loti vi ha sempre ricercato quell’immagine oleografica, fatta di geisha e ombrellini di carta, di risciò e cascate di fiori, che tanto appassionavano i suoi lettori in una Parigi costantemente affamata di curiosità giapponesi. Ma, come afferma Michaël Ferrier nell’introduzione al brano su Asakusa, a volte Loti riesce anche a stupirci: accanto a osservazioni discutibili e a pregiudizi razzisti, ecco allora comparire descrizioni notevoli di luoghi e personaggi. Così, questa vivace descrizione del tempio Sensōji di Asakusa segue un periodo intriso di sgradevoli riferimenti all’odore dei giapponesi che puzzano di “olio di camelia rancido”. Fascino e disprezzo si mescolano dunque, com’è nella vera natura dell’orientalismo.

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