C’è sempre un Giappone lontano e segreto, basta allontanarsi dai sentieri battuti, dalle linee dello shinkansen, dagli itinerari suggeriti dalle riviste patinate, dai tour operator ingordi, dalle guide tutte foto e niente sostanza.
C’è sempre un Giappone di sorprese e di tesori nascosti, basta camminare per strade che si snodano fra i campi, seguendo il battito di un tamburo, il vociare ritmato di un gruppo di persone, in lontananza: è quello allora il momento di affrettare il passo.
C’è sempre un Giappone di gesti gentili e inattesi, basta avere il sorriso aperto, gli occhi spalancati, il dovuto rispetto.
C’è sempre un Giappone in cui è bello viaggiare, basta aver voglia di camminare con lentezza, di mandare al diavolo le tabelle di marcia, di mettersi in ascolto del canto degli uccelli, di ricercare la spoglia di una cicala. Di ascoltare anche chi non ci sta parlando se non con gli occhi.
Il tempo è il nostro privilegio. Il tempo e la solitudine di stradine deserte in cui la sera i ragazzini giocano a baseball, una donna si affretta con una borsa della spesa traboccante e una bicicletta sfugge silenziosamente davanti al nostro sguardo.
Mentre a due isolati da noi, e lo sappiamo, pullman turistici sono in attesa dei gruppi che si affannano nell’inutile rincorsa di un’improbabile geisha, sempre alla ricerca della cartolina perfetta, del Giappone che rispetti l’immagine che si sono costruiti prima della partenza: il ciliegio, la maiko con l’ombrellino, il Fujisan sullo sfondo.
Accartoccio con sottile piacere questa immagine, mentre seduta davanti a uno stagno, in un piccolo giardino sconosciuto, osservo i pesci respirare.