Più passa il tempo, più invecchio, più amo Natsume Sōseki.
Con lui attraverso le stagioni, attraverso i paesaggi, ma soprattutto penetro nell’animo umano che egli rivela per cenni, senza clamori, sottovoce. Le sue parole quasi un sussurro alle mie orecchie. Non ho finito di scoprirlo, Natsume Sōseki. Periodicamente estraggo un libro dallo scaffale senza necessariamente rileggerlo dall’inizio alla fine. Lo apro, il libro, e prendo a leggere le pagine che si sono aperte, lasciando la scelta al caso. E poi, se il libro lo conosco bene, proseguo nella lettura, lasciandomi guidare dall’onda del ricordo di parole e sensazioni.
L’estate, per esempio.
Anni fa partendo da Tateyama avevo attraversato il Bōshu, e da Kazusa ero arrivato a Chōshi, camminando lungo la costa. Una sera mi fermai in un luogo. Non posso definirlo che “un luogo”. Ho dimenticato sia il nome della località sia quello della locanda. Non sono neppure sicuro di essermi fermato in una vera locanda. Era una casa alta e grande, abitata da due donne sole. Quando domandai loro se potevano ospitarmi la più anziana disse di sì e la giovane m’invitò a entrare e mi guidò; la seguii: dopo aver attraversato numerose ampie camere abbandonate, mi condusse in quella più interna, al piano superiore. Saliti tre gradini feci per entrare in camera dal corridoio quando un gruppo di alti bambù che si protendevano obliquamente sotto le tavole della terrazza, mossi dalla brezza della sera, mi accarezzarono la testa da dietro le spalle e io sobbalzai spaventato. Le tavole della veranda erano marce. “L’anno prossimo i germogli di bambù cresceranno fino ad aprirsi un passaggio nel pavimento della veranda e la camera sarà piena di bambù”, dissi; la giovane donna non rispose, sorrise e uscì.
Quella notte non potei dormire per il fruscio del bambù vicino al mio capezzale. Aprii gli shōji: il giardino era una distesa d’erba; una luminosa luna rischiarava la notte estiva, spostai lo sguardo e vidi che, proprio grazie alle siepi e al muro, il giardino sembrava continuare in una vasta collina erbosa. Subito al di là di essa si stendeva l’oceano, con immense onde fragorose che parevano minacciare il mondo umano. Non riuscii a chiudere occhio fino all’alba, rimasi pazientemente ad aspettare sotto la strana zanzariera, con l’impressione ritrovarmi in un libro di racconti illustrati. Ho viaggiato molto, dopo di allora, ma non ho mai provato simili sensazioni prima di fermarmi nella locanda di Nakoi.
Mentre dormo supino a un tratto apro gli occhi e vedo, appeso alla parete, un quadro con una cornice laccata di rosso. Contiene una poesia che riesco a leggere distintamente pur restando sdraiato:
L’ombra del bambù
spazza la scala
ma immobile rimane la polvere.
Natsume Sōseki
(1906)
Traduzione di Lydia Origlia. Da Guanciale d’erba (Kusamakura), Vicenza, Neri Pozza Editore, 2001.