天の原
ふりさけ見れば
春日なる
三笠の山に
出でし月かも
Ama no hara
Furisake mireba
Kasuga naru
Mikasa no yama ni
Ideshi tsuki kamo
Abe no Nakamaro
(701-770)
Spaziando con lo sguardo |
È forse la luna |
Spaziando con lo sguardo |
lungi, nella piana del cielo | quella stessa che vedo | nella piana celeste |
oh! È la stessa luna che sorge | lontano in cielo | scorgo la luna |
dal monte Mikasa | oh pianura che fosse | fare capolino sulla vetta Mikasa |
che è in Kasuga. | sul Mikasa di Kasuga. | del monte Kasuga. |
Marcello Muccioli | Nicoletta Spadavecchia | Andrea Maurizi |
Fonte per il testo giapponese:
Japanese Text Initiative della University of Virginia Library.
Le traduzioni sono tratte da:
Marcello Muccioli (a cura di), La centuria poetica, Milano, SE, 2010 (prima edizione: Firenze, Sansoni, 1950).
Nicoletta Spadavecchia, Michelangelo Coviello (a cura di), Fujiwara Teika. Tanka. Antologia della poesia classica giapponese, Milano, Corpo 10, 1990.
Andrea Maurizi, Poesie di cento poeti in Virginia Sica, Francesca Tabarelli de Fatis (a cura di), Lo spirito giovane della calligrafia classica. Personale di Kataoka Shikō, Trento, Go Book, 2006.
☛ Ho scelto queste traduzioni e non altre, che pure esistono, perché già nella mia disponibilità.
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L’immagine che ho scelto per illustrare il waka n°7 è di Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), artista del tardo periodo Edo la cui sensibilità è, inevitabilmente, molto diversa da quella che ha dato origine al componimento poetico di Nakamaro.
E in questa immagine, ecco cosa vedo.
Mentre in lontananza la luna piena fa capolino dietro il ramo proteso di un pino e sulla linea dell’orizzonte si leva dal mare la massiccia silhouette di una catena montuosa, il primo piano della scena è occupato da alcuni personaggi che sostano nella notte. Chi sono? Ce lo spiega il testo che accompagna questo waka di Nakamaro nella sezione Kiryo no uta (Viaggi) dell’antologia poetica Kokinwakashū (qui nella traduzione di Sagiyama Ikuko):
Se guardo lontano
nell’infinita pianura celeste,
ecco la luna,
sorta sul monte Mikasa
della terra di Kasuga!
Si tramanda la seguente storia su questa poesia. Tempo fa, Nakamaro fu mandato in Cina per studiare. Passò molti anni senza riuscire a trovare un modo di tornare in patria; finalmente, per rimpatriare, si accompagnò ad un’altra missione giapponese. Allora, sulla riva del mare di un luogo chiamato Mingzhou, i cinesi imbandirono un banchetto di addio. Calata la sera, vedendo la luna spuntare splendida, Nakamaro compose questa poesia.*
Il poeta, abbigliato in un sfarzoso kariginu, volta le spalle alla baia, oltre la staccionata rossa del lungomare, e dirige il suo sguardo verso il dignitario cinese, dalle fluenti vesti splendidamente decorate, che lo accompagna, molto probabilmente verso l’imbarco. Dietro di loro due karako (fanciulli cinesi) recano insegne e un ventaglio cerimoniale reggendo, sembra, con difficoltà, i lunghi manici. Avanguardia, forse, di un piccolo corteo che si appresta a salutare Nakamaro in procinto di rientrare in Giappone.
Sappiamo però che il rientro del poeta fu reso impossibile dal naufragio dell’imbarcazione di Fujiwara no Kiyokawa su cui viaggiava e che fu costretto a rientrare in Cina dove poi rimase fino alla morte.
L’atmosfera della scena, con le due figure principali colpite dalla luce della luna che delinea le loro ombre sul terremo, rimanda a un colloquio intimo fra amici di lunga data, restii a separarsi e proprio per questo intenti ad osservare con calma le manovre dei karako con le loro aste ondeggianti al vento.
Ben diversa la scena dipinta da Hokusai (1760- 1845) nella stampa dedicata a questo waka nella serie Hyakunin isshu uba ga etoki (Cento poesie per cento poeti raccontate dalla balia, 1835-1838).
Nella stampa di Hokusai il poeta è proprio al centro della scena. Da un’alta collina osserva il mare sulle cui acque scure (rese con efficacia dall’alternarsi di campiture orizzontali di intensità differenti di azzurro) brilla la luna, e due barche sembrano quasi in attesa. La collina è circondata da tende colorate e da stendardi che indicano un luogo di bivacco e forse di banchetto. L’attenzione dei presenti è tutta per il poeta davanti al quale si inchinano due personaggi (dal caratteristico abbigliamento cinese), in segno di omaggio devoto. Un gesto che ci colpisce. Cosa ha spinto Hokusai a rappresentare Nakamaro in posizione elevata e i personaggi cinesi in atto di sottomissione? Un riconoscimento della grandezza della poesia giapponese a discapito del valore dei poeti cinesi che, pure, Nakamaro ammirava e di cui era amico? Una ben poco velata manifestazione di nazionalismo? La questione è aperta.
Nota.
* Da Kokin Waka shū, a cura di Ikuko Sagiyama, Milano, Ariele, 2000, p. 278.